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Bucaneve

E’ davvero utile provare a rendere razionale un mondo basato su improbabili coincidenze  in mezzo al caos probabilistico delle leggi della fisica?

La nostra vita è generata da una quantità impressionante di variabili in gioco che si intrecciano tra di loro in una trama apparentemente casuale, che causa i nostri destini e le nostre esistenze.

In tale conteso i problemi esistenziali dei singoli esseri umani, ma anche delle intere popolazioni, assomigliano più al problemi di fisica la cui soluzione è forse “probabile” ma mai “certamente corretta”.

Gli assiomi di vita infatti a causa di un evento esterno possono diventare variabili…  e le variabili trasmutare in costanti …

Insomma la vita sarebbe un vero casino, se non ci fossero le coincidenze (in fisica “eventi sincronici”) – o forse un Dio benevolo –  che si presentano con improbabile puntualità per dettare le regole della fisica e dei nostri destini.

 

Perchè amo scrivere

Se non scrivo non  so pensare. Ho sempre ritenuto che in qualche modo, la mia fantasia fosse neuronalmente collegata ai tendini delle mie mani, che conducono ai miei polpastrelli mentre pigiano rumorosamente sulla tastiera di un computer. Quella serie di caratteri impressi su un supporto plastico ed allineati in modo apparentemente bizzarro su una piastra metallica, combinati in modo opportuno per mezzo del mio tamburellare nient’affatto casuale, sono gli unici in grado di trasmettere ciò che è embrionalmente presente nella mia psiche ma che in nessun altro modo ero riuscito ad esternare.

Da sempre, sono riuscito a dare organicità ai miei pensieri solo nell’atto della scrittura e, in modo surrogato, quando sono stato coinvolto in orazioni (convegni, conferenze, presentazioni, esami universitari).

La chiave del mio  pensare è dunque la  comunicazione: se non comunico non penso, e se non penso non vivo; amo dunque scrivere perché amo la mia vita, e rendere fruibile il mio pensiero ad altre menti organizzate in modo casualmente diverso dalla mia.

Tufo di Minturno: alla ricerca del cromosoma perduto


Ricercare le proprie origini scavando nella memoria dei propri cari, può essere a volte fondamentale per ricostruire il puzzle storico del nostro territorio e per far venire a galla tanti eventi ed accadimenti storici che sono stati ignorati o sottovalutati dai manuali storici, e che invece hanno determinato quella che è oggi la nostra società civile. Proprio per questo ho pensato di condividere con voi, in questo blog, la scoperta dei miei cromosomi Minturnesi che, mescolati a quelli Gaetani, Formiani ed Avellinesi e forse un po’ Calabresi e Romani sono sicuramente i principali responsabili di quel regalino che è stato donato quasi 38 anni fa ai miei genitori e che hanno dovuto con cura plasmare ed educare per determinare la mia personalità odierna.

Molti miei cromosomi, almeno un quarto appunto, appartengono infatti a questa terra, ed in particolare a Tufo di Minturno. Mia nonna  – madre di mio padre Dino Artone  –  era di Tufo e si chiamava Palmina Tucciarone, figlia di Egidio Tucciarone, sempre di Tufo. Suo fratello, l’Ammiraglio Ispettore Tucciarone Alessandro Pio  (che qualche vecchio del luogo forse ancora ricorda)  è stato probabilmente il più alto ufficiale nato nel nostro Comune e limitrofi. Infatti egli – che era anche Ingegnere navale e aveva comandato sommergibili – diventò Ammiraglio Ispettore della Marina, cioè due gradi più su del generale. Poi, fra i tre papabili da nominare a Capo di Stato Maggiore della Marina in Italia, egli non fu scelto solo perché la norma prevedeva che fosse il più anziano dei tre, mentre lui era il più giovane.

Nonna Palmina ci raccontava che solo lui, dei quattro figli di Egidio, fu mandato a studiare con notevoli sacrifici. E quando venne la lettera dall’Accademia Navale di Livorno, in cui si diceva che il giovane Alessandro Pio era stato il primo in graduatoria a entrare nella prestigiosa Accademia, sua mamma lesse nella piazzetta centrale di Tufo la lettera pervenuta dal Direttore dell’Accademia. Infatti lei, la mia bisnonna Maria Càrmina, era per così dire la “letterata” del paese, perché era tra i pochi a saper “leggere e far di conto”, avendo fatto – pensate – tre anni di scuole elementari a fine “Ottocento”!  Cosicché era lei che leggeva e scriveva per conto di tutti le lettere per i soldati di Tufo, durante la Prima Guerra mondiale.

A proposito, al fratello di mia nonna – Alessandro Pio Tucciarone – era stato dato il nome di Alessandro perché un Don Alessandro Tucciarone  (fratello di Ignazio, nonno di Egidio, padre di mia nonna Palmina), era stato una delle figure più famose della Storia di Tufo (che è di circa un millennio). Infatti quel sacerdote  si era comportato da grandissimo eroe durante il colera del 1837, in cui morirono 816 cittadini del Comune di Minturno, salvando diecine di vite e restando incolume lui solo per un vero miracolo; e nel 1839, in veste di parroco della chiesa di S. Leonardo, in una supplica inviata al Regno delle Due Sicilie attraverso il Marchese don Giovanni d’Andrea, chiese aiuto per l’estrema miseria in cui era ridotto il paese, e riuscì ad avere la donazione – per Tufo –  di due grandi tenimenti, quello di Santa Cristina e quello di San Marco. Un pezzo di questo tenimento a San Marco, alcuni decenni dopo, diventò poi di proprietà del mio bisnonno Egidio Tucciarone. (nonno cioè di mio padre).

E comunque, la famiglia Tucciarone era, qui in Tufo, imparentata anche con i Fusco, i Carcone, i Rasile, i Tambolleo, gli Sparagna, e con i Mazzucco… È  nostra lontana parente, infatti, Melania Mazzucco – Premio Strega 2003 con Vita  – figlia di Roberto, scrittore e commediografo nativo di Tufo; è anche nostro parente il famoso Don Domenico Tambolleo, nato a fine Ottocento, sacerdote missionario in Argentina, nonché scrittore e poeta,  docente di Patrologia, Lettere e Storia, e autore – tra l’altro – delle famose Odi Mintunesi. Come pure era nostro parente l’ancora più famoso Cristoforo Sparagna, scrittore, poeta, scultore e pittore, vincitore anche di Premi Nazionali di poesia, riportato in testi di  Letteratura Italiana di Dolci, finalista del Premio Bagutta  – a metà degli anni Trenta – e autore di numerose opere, anche in latino e greco antico, oltre che in dialetto traettese, tra cui ricordo i Canti traittìsi e un sunto della Divina Commedia, anch’essa in dialetto.

Spero che questo mio piccolo contributo stimoli ognuno di voi a tirar fuori il proprio pezzo di questo immenso puzzle che è la storia del nostro territorio:  è solo riscoprendo le nostre radici e facendo esperienza del nostro passato, che potremo costruire, sulla base solida della conoscenza, un futuro migliore.

Articolo comparso su Minturnet il 19/06/2012