Archivi categoria: Riflessioni

La mia esperienza nelle zone terremotate

Una serie disordinata di appunti, sulla mia esperienza all’AQUILA con l’ANCI.

Lo scorso 14 Aprile lessi una email, a firma del Direttore operativo ANCI, in cui venivamo informati che la nostra associazione era impegnata sin dalle primissime ore successive al terremoto a fare tutto quanto possibile per assistere i Sindaci dei Comuni colpiti da questo tragico evento. L’emergenza era enorme e il lavoro da fare tantissimo: Era dunque stato deciso di garantire una presenza stabile dell’ANCI nazionale a L’Aquila, a supporto dell’ANCI Abruzzo e dei Comuni colpiti: a tal fine si chiedeva chi fosse disponibile a recarsi in Abruzzo in missione, in quanto sarebbe stato presto attivato un presidio stabile con apposite turnazioni del personale volontario. La sistemazione era naturalmente garantita ma, viste le condizioni di emergenza si sarebbero potuti recare nelle zone colpite soltanto le persone disponibili ad adattarsi alle circostanze.

Rimasi a fissare quella email per qualche minuto: devo ammetterlo, all’inizio in modo incosciente pensai che quello che ci era richiesto, era di fare “gli eroi”. Mi vergognai subito di questo pensiero assurdo, e mi resi conto che in fondo ci si chiedeva semplicemente di sacrificare alcune nostre serata a casa e in famiglia, per metterle al servizio di quel territorio, con la sua gente, così devastato da una tragedia (forse non troppo) imprevista. Nonostante ciò ugualmente non era così semplice accettare: ci si chiedeva di recarci li, sul posto, senza sapere affatto se la terra avrebbe tremato ancora (come poi è stato, anche se senza particolari conseguenze). Chiusi quindi l’email e teleofonai subito a mia moglie per chiederle cosa ne pensava, per condividere la scelta: anche per lei sarebbe stata dura, – pensai – dato che con due bimbi di 2 anni la prima, e di tre mesi il secondo, la sera senza il mio piccolo ma fondamentale aiuto sarebbe stata dura.

Come sempre, nelle situazioni difficili, ci ritrovammo completamente d’accordo. Partii quindi, era il 27 Aprile, direzione Coppito, dove, presso la scuola sottufficiali della Guardia di Finanza, è ospitata la Direzione di Comando e Controllo (DI.COMA.C.) che rappresenta l’organo di coordinamento delle strutture di Protezione Civile a livello nazionale in loco, attivato dal Dipartimento della Protezione Civile. in seguito alla Dichiarazione dello Stato di Emergenza.

Arrivato all’Aquila Est, ad una prima occhiata superficiale tutto sembrava normale: niente palazzi crollati, macerie, o strade dissestate così come mi sarei aspettato; ma i segni della tragedia, dopo uno sguardo più attento, erano visibili: la periferia della città (non il centro storico dove ci sono stati i maggiori danni, per intenderci) era svuotata dalle persone comuni, e riempita dalle forze di protezione civile, croce rossa e dai volontari vari. Le perisane delle abitazioni erano tutte serrate, le avvolgibili abbassate. Palazzi apparentemente intatti,tuttavia erano deserti. Una parvenza di normalità la forniva solo un enorme ipermercato, con l’insegna illuminata dall’aspetto rassicurante. Guardando attentamente però, si scorgeva invece un accampamento di tende posizionato nell’ampio parcheggio, destinato ad ospitare le autovetture dei clienti. Fu in quell’attimo che capii tutto: quella città era stata violentata nella sua anima più profonda, ma la gente non si era rassegnata ed era li, per combattere, per ricostruire, per non arrendersi. Passai nei pressi dell’ospedale che sapevo essere pericolante, e rabbrividii.

La sede del DI.COMA.C brulicava di persone. Dovevo recarmi nella grande palestra della scuola di sottufficiali: era stracolma di sedie e tavoli con decine o forse centinaia di persone della protezione civile, degli enti locali, delle forze di polizia e militari, che viste dall’alto dell’ingresso principale, sembravano tante formichine operose ed instancabili: qualità che – scoprii subito – effettivamente avevano. Mi venne incontro la mia collega a cui dovevo dare il cambio, che normalmente si occupa di affari esteri: appariva stremata, e mi accolse come il Salvatore sceso in terra. Iniziai davvero a preoccuparmi. Dovevo fare un lavoro completamente diverso da quello che avevo sempre fatto, e in più dovevo essere super efficiente. Mi spiegò infatti che il nostro compito era (ed è ancora) di supportare in vario modo i comuni colpiti dal terremoto. Innanzitutto, dovevamo organizzare le squadre di tecnici comunali il cui compito era di verificare velocemente l’agibilità degli edifici. E’ chiaro che più squadre di tecnici competenti si è in grado di fornire, sistemare, ed organizzare, più presto le persone terremotate possono sperare di rientrare nelle loro abitazioni in tempi rapidi. Mi spiegò che avrei agito sotto la supervisione del nostro responsabile del settore Protezione Civile, e che avrei coordinanto una squadra di ragazzi, per lo più studenti Universitari o dottorandi. Ma Accanto a questo progetto, se ne affiancavano numerosi altri, in particolare quello della polizia municipale: in tal caso il nostro compito era di reperire agenti che volessero prestare servizio di polizia di prossimità nei vari campi, cercando a tal fine di risolvere tutte le innumerevoli pratiche burocratiche (oltre che i tanti problemi politici) in modo da consentire loro di operare nei vari “COM” (come vengono definiti i raggruppamenti di comuni terremotati). Un altro nostro compito era sempre di reperire (tramite il nostro accordo con l’Agenzia dei Segretari), istruire, e coordinare vari Segretari Comunali, venuti in soccorso amministrativo dei comuni terremotati, spesso piccolissimi, e ora sovrastati da una mole di pratiche imprevedibile ed imprevisto. E poi dovevamo rispondere alle centinaia di quesiti che ci venivano posti ogni giorno dai comuni. Mentre mi chiedevo come mai questo lavoro non avremmo potuto farlo da Roma, comodamente seduti in ufficio e senza l’incubo di trovarsi in mezzo ad un nuovo e più devastante terremoto (voce che tutt’ora circola all’Aquila), mi girai intorno e mi rensi conto che li dentro c’era un bel pezzo delle rappresentanze dello Stato e della società civile: dal comune dell’Aquila (il cui sindaco, sconvolto “sedeva” stabilmente di fronte a me), alla provincia (alle mie spalle) , alla protezione civile, ala regione, all’esercito, che si distinguevano per i maxi schermi disposti dietro le loro spalle su cui ogni 1 o 2 ore veniva annunciata una riunione di “breafing”. Capii che il motivo per cui eravamo tutti li, probabilmente era soprattutto perché stando raggruppati in un’unica sede i tempi di comunicazione divenivano più rapidi e, in casi come questi, anche qualche minuto può essere fondamentale. E poi c’erano gli innumerevoli tavoli quotidiani di coordinamento, per affrontare insieme emergenze o problematiche nuove, imprevedibili o sottovalutate fino a poco prima.. Stare a Roma, quindi, sarebbe stato davvero poco efficiente, almeno in questa fase. E’ letteralmente una corsa contro il tempo: forse è solo stando li che si capisce veramente cosa intendo. Voltai lo sguardo e vidi altri maxi schermi, che mostravano i dati sulle ultime scosse, Dopo un po’ vidi arrivare il presidente dell’Anci regionale locale: un uomo distinto e sempre cordiale che però adesso appariva incredibilmente provato dal terremoto e dalla permanenza in tenda. Era abituato, mi raccontò subito, ad avere oltre venti paia di scarpe – un dettaglio apparentemente banale, forse io ne ho ancora di più, pensai – ma mi spiegò che ora ne aveva solo due, e aveva imparato ad apprezzare il fatto di potersele cambiare, a differenza di altri. Disse che prima faceva la doccia tutti i giorni, senza rendersi conto della fortuna che aveva: peccato che si debba imparare dalle tragedie, sospirai con un velo di tristezza. Di tanto in tanto, quando poteva si recava sotto la vecchia sede dell’ANCI Abruzzo oramai malconcia e, non si sa come, dopo un po’ ritornava al DI.COMA.C ,trionfante, con un carico di cancelleria utile per la nostra attività.

Mi misi subito al lavoro, indossai la maglia ANCI –Protezione Civile, e mi resi conto che tempo di apprendere, proprio non ne avevo. Ero già stato catapultato nell’emergenza: i telefoni squillavano, i ragazzi tirocinanti mi facevano domande a cui non sapevo rispondere, il resposabile mi dava mansioni dando tante cose per scontate. Da Roma mi arrivavano richieste dai colleghi sull’entità dei danni per cercare probabilmente di recuperare fondi extra, e mille altre cose. Tutte insieme, tutte subito. Sembrerà strano ma in questo caso, più che la attuale esperienza lavorativa, almeno a livello di stress mi è tornata utile quella dei campi scuola con i ragazzi dell’ACR. Anche se le motivazioni sono diverse, anche in quei casi non ho mai il tempo di fermarmi, di riflettere, di riposarmi. Anche lì capitano quaranta cose tutte insieme e devi risolverle senza avere il tempo pensare. E’ in quelle occasioni che ho imparato che la vera emergenza dura un istante e va risolta in quel momento, non in qualche ora.

“Le cose belle che ci accadono nella vita non ci lasciano mai soli, ci tengono per mano, e ci aiutano a risolvere le situazioni brutte” , ricordai questa frase che spesso dico ai ragazzi dell’ACR: fino ad allora però devo ammetterlo, non mi ero reso conto dell’effettivo significato pratico (aimè). Una esperienza in un caposcuola con degli adolescenti, può ritornarmi utile ad essere più efficiente in un disastro come questo… incredibile! Mi venne da sorridere.

Gli orari di lavoro erano massacranti, ma devo dire la verità, l’adrenalina che viene su quando sei in una situazione di stress ma sai che stai facendo bene è tanta, e ti consente di andare avanti. E poi con i ragazzi dell’Università si era subito creato un clima eccezionale: ci vogliono poche ora in queste situazioni per diventare amici, e devo ringraziare davvero di aver potuto lavorare con delle persone eccezionali come loro. Come Federica, Alessio, Francesco e Giuseppe. Tra i momenti che non scorderò mai, senza dubbio, c’è stata la visita del Papa. L’enorme sala brulicava di Vescovi, Cardinali e Prelati, forse addirittura… futuri Papi: approfittai di quel momento per cercare un “contatto” utile per Don Simone, il mio parroco, che da parecchio cercava di mettersi in contatto con il suo amico Arcivescovo dell’Aquila per poter iniziare al meglio e prontamente un gemellaggio. Non mi fu molto difficile, recuperare un numero di cellulare che, se non fossi stato li sul posto, non avrei mai ottenuto. Molto impegnativo invece fu raggiungere il piazzale dove Benedetto XVI avrebbe parlato: la nostra sala era esattamente alle spalle del Palco, ma per ragioni di sicurezza, io e Federica dovemmo fare letteralmente il giro di tutta l’enorme caserma. Provai a raggiungere telefonicamente la cugina di Rossella, Annalisa, anche lei di Scauri, che in quel momento probabilmente si trovava in piazza d’Armi come volontaria per la Willclown…Cellulare spento! sarà più incasinata di me – pensai – peccato, speravo di incontrarla e condividere con lei le nostre esperienze, molto diverse senz’altro, ma per volte alla stessa causa.

La gente nel piazzale in attesa del Pontefice era tanta, anche se la gran parte delle persone Lo aveva già accolto nei luoghi devastati. Ma, forse per via della tragedia, non c’era il solito entusiasmo. Il Papa passò vicinissimo a me e Federica. Affianco a noi, una bimba di nove mesi, veniva presa in braccio dal Papa: i genitori erano troppo stanchi e demotivati per palesare l’entusiasmo che gli leggevo negli occhi. Al contrario dei raggianti fotografi. Tornai dopo qualche decina di minuti alla mia postazione, c’era troppo da fare.

Non scorderò mai tutte quelle persone comuni che venivano ai nostri banchi con le richieste più disparate, che, anche se non era il nostro compito, cercavamo di risolvere, come quella signora che voleva traslocare ad Avezzano, stanca di alloggiare nella scomoda tenda con i suoi tre figli, ma non sapeva proprio come fare. Le avevano addirittura raccontato che traslocare era vietato dalla legge, in casi di emergenza nazionale. E ricorderò sempre la scossa di terremoto sussultoria, l’unica che ho avvertito, forte, durante la riunione con il coordinatore della Funzione enti Locali, rimasto impassibile – come i militari nei films Americani – mentre molti gridavano e qualcuno si metteva addirittura sotto i banchi. Solo che la sua non era una finzione come in quei film, era effettivamente, abituato a sentire scosse ed era istruito a restare calmo. Personalmente, essendo la stata la mia prima esperienza di terremoto, mi spaventarono più le grida che i banchi che avevano tremato.

Ho tremila altri ricordi, per questi pochi giorni ma intensi, in cui avevo pensato di andare in giro per le tendopoli, e invece mi sono ritrovato in un quartier generale, in cui avevo pensato (o temuto) di fare l’eroe, e invece mi sono ritrovato a fare la formichina operosa, proprio come le mille che avevo scrutato dall’alto appena mi ero recato li. Non posso davvero raccontarveli tutti, i miei ricordi: non potrei però concludere senza dire che il nostro team, ANCI e volontari della facoltà della Protezione Civile a noi affidati, stava e sta lavorando benissimo.

Decine di squadre di tecnici stavano e stanno lavorando instancabilmente; molti vigili stanno andando, tenda per tenda, a rassicurare e risolvere i problemi delle persone, i segretari vanno in soccorso delle amministrazioni sconvolte. Per non parlare dei tutta l’attività politica volta a far si che dalle parole (spesso aimè insensate, inutili ed inefficaci) di decreti e provvedimenti scritti male e di corsa, esca fuori qualcosa di utile e di concreto, che supporti veramente ci comuni colpiti, e quindi la gente.

Una cosa è certa…ci tornerò. Ci tornerò prestissimo.

Alfonso Artone

[URL=http://www.artone.info]www.artone.info[/URL]

Qual è il vostro sogno?

Ieri durante una riunione di lavoro mi hanno chiesto:

“qual è il tuo sogno?”

Istintivamente volevo  rispondere subito:

”comprarmi lo scooter nuovo!!”

Poi ho riflettuto e mi sono detto: fammi chiedere qualcosa di più, ne approfitto…ecco:

“vorrei un buon lavoro vicino casa!”

Stavo per pronunciare queste parole quando un rimorso di coscienza mi ha fatto pensare:

“Ecco la salute! Per me e la mia famiglia! Questo è il mio vero sogno!!!”

“ma non è una  cosa davvero egoistica?” mi  sono sentito dire da una vocina dentro di me..

Beh allora, se è per questo…ho la soluzione: “la fame e la pace nel mondo!!! adesso si che ho un sogno altruista!!!”

 

No, non sono riuscito a dire nemmeno questo. Non che non desiderassi le cose a cui avevo pensato…anzi! Ma mi era impossibile fare una scelta.

Mi sono sentito depresso ed avvilito.

Una semplice domanda era riuscita a gettarmi nello sconforto totale.

“Se non so qual è il mio sogno..che razza di persona sono io??”

 

Un mio caro amico, che partecipava alla riunione con me, vedendo la mia espressione sconsolata dopo avermi appoggiato la mano sulla spalla, mi ha sussurrato nell’orecchio:

“caro Alph, i sogni sono come gli amici: non ne puoi scegliere uno migliore e buttare via gli altri. Sono tutti importanti.. ciascuno a suo modo”

E voi cosa ne pensate?

 

Alfonso Artone per il gruppo acr nel 2009

IN RICORDO DI UN DICIANNOVENNE UCCISO DAL BRANCO

(articolo comparso su “il Nuovo Territorio” il 7/02/2009)

Non voglio angosciarvi con un intervento strappalacrime.
Ma questa brutta storia di Igor, la sua fine terribile mi ha fatto riflettere.
Anche se lo avevo perso di vista da un pò, conoscevo Igor benissimo, da
quando aveva più o meno 10 anni. Erasmo, l’allenatore della scuola calcio,
mi convinse a partecipare ad un campo estivo con loro, e fu la mia prima
esperienza da educatore, anche se ero molto molto inesperto.
Ricordo tante cose, e i ricordi sono bellissimi, anche se ora sono appannati
da un velo di tristezza.
Era terribile, Igor: un ragazzino vivacissimo, ma anche tanto, tanto
affettuoso. Come capita a molte pesti che ho il piacere di conoscere, spesso
a noi grandi faceva un pò arrabbiare. Ma senza di lui, non ci saremmo
davvero divertiti.
Era assai vivace dicevo ma aveva una gran dote: sapeva farsi perdonare. E
quando si trovava in difficoltà, sapeva chiedere aiuto. Sembra una banalità,
ma questa è una qualità davvero rara: parecchi si arroccano nelle loro posizioni, tanti
altri si ostinano cocciuti ai loro errori. Lui non era così,e questo forse
dipendeva proprio dalla difficile infanzia che ha avuto.
E’ la capacità di tornare sui propri passi che fa la differenza tra una persona
intelligente ed una stupida.
Questo l’ho capito anche grazie a lui che, pure in questo, era di una intelligenza
fuori dal comune.

Ricordo una volta a Roccaraso litigò con un ragazzo più grande: scoppiò
in lacrime e venne da me. Alla fine dopo quasi un’ora si addormentò tra
le mie braccia, come un angioletto. Mentre dormiva pensavo che ad occhi chiusi
non sembrava poi così pestifero. Lo portai in braccio fino al terzo piano,
e lo misi a letto, rimboccandogli le coperte. Il giorno dopo raccontò a
tutti..quello che avevo fatto per lui. Era una banalità, parecchi si sarebbero
pure vergognati ad ammetterlo..ma lui sembrava essere così contento: fu la prima volta che mi sentii davvero fiero del mio ruolo con i ragazzi di quella età. Per la prima volta, pensai di potermi rendere davvero
utile a loro.
Giocava a porta, ma durante la serata in “discoteca” tutti volevano che ballasse
la break dance: era già bravissimo, e naturalmente vinse la gara di ballo.
Ogni tanto poi, si cimentava in esercizi impossibili per la sua età (restava
in posizione a “bandiera” per un tempo interminabile, faceva flessioni battendo
le mani, etc etc..)
Diceva che un giorno sarebbe diventato un ballerino famoso, oppure un portiere
di una grande squadra. Ricordo con tenerezza quando prese una cotta terribile
per una ragazzina , e mi tormentò per avere una sua foto: poi mi confessò
di dormire tutte le notti con la sua foto sotto il cuscino.
Nelle due estati a Roccaraso, mi chiedeva sempre (quasi fino alla nausea..)
di recarci al campo di allenamento col fuoristrada perché gli piaceva percorrere
un tragitto sterrato, che separava l’albergo dal campetto. E d’inverno voleva
sempre organizzare uscite al bowling, ma per la verità lo portavo di rado
con me per paura che combinasse qualche piccolo guaio.
Ero diventato subito un suo punto di riferimento, mi prendeva in giro, ma
mi voleva bene. Mi chiamava “fofò” e io mi arrabbiavo. E lui per tutta risposta
mi fece chiamare “fofò” da tutta scauri (almeno dai suoi coetanei). Non contento
una volta venne a bussarmi a casa, visto che non mi vedeva da un po’ in
giro (stavo studiando in quel periodo..) e lesse sul mio citofono “Artone Martone” (eh si
mia madre fa di cognome Martone e mio padre Artone…) e da allora non fui
più solo “fofò” ma fofò “Artonemartone”. E tutti i “mocciosi” di Scauri iniziarono a chiamarmi
così. Facevo finta di arrabbiarmi, ma in realtà faceva sorridere anche a
me. I nomignoli sono sempre dimostrazione di affetto. Penso che tutt’ora
sia l’unica persona a cui ho consentito di chiamarmi “fofò”.

Scriveva benissimo, Igor. Ricordo delle poesie che mi fece vedere, fiero
di sé, quando aveva poco più di undici anni E io all’inizio non credevo nemmeno
che fosse lui l’autore (possibile che quella peste avesse un cuore così grande?)
Adorava suo nonno, forse perché aveva trovato in quella figura anziana
quello che i genitori per vari motivi non erano riusciti a dargli. E l’ultima
poesia che ha scritto, mi dicono, è stata per lui. A Scauri organizzammo
tanti tornei di calcio, dove giocava a porta, e tante uscite insieme.

Poi divenne adolescente, e io divenni educatore ACR. Era troppo grande per stare
nel mio gruppo, ma sapevo che continuava a frequentare Don Simone, che per
lui era una specie di secondo padre (nonostante tutte le “cazziate” che gli
faceva spessissimo) e tutti gli altri amici della parrocchia, dove una volta
lo vidi ballare (fu quasi costretto, ma alla fine lo fece e fu sommerso dagli
applausi..) ad una festa che organizzammo nel salone. Poi lo vidi ad uno
spettacolo presso la scuola ballo; era bravissimo, anzi, incantevole. Fui
commosso fino alle lacrime: ci era riuscito!. Aveva scelto una strada, in
modo ostinato, e aveva realizzato il suo sogno. Come sempre si era fatto
aiutare, aveva scelto le persone giuste che credevano in lui. Aveva appena
diciotto anni e aveva già vinto trofei prestigiosi, aveva una strada davanti
a se’. Tante persone lo avevano preso per mano e condotto in questa splendida
avventura che stava solo per iniziare.
L’ultima volta che lo vidi, era a maggio: aveva deciso di ricevere il sacramento
della Cresima, che per pigrizia non aveva preso da bambino. Come al solito,
mi aveva stupito.
Non l’aveva fatto perché doveva “sposarsi”, non doveva nemmeno frequentare
il catechismo per inerzia come fanno purtroppo tanti dodicenni..aveva semplicemente
sentito quel bisogno.
Riusciva sempre a stupirmi. Era fuori dal comune, ma non lo dico ora che
non c’è più..l’ho sempre detto.
Igor ha lasciato un grande vuoto nel mio cuore, più grande di quello che
potete immaginare.
Il legame che si crea tra un educatore (anche se alle prime armi)e i suoi
ragazzi e ragazze, è qualcosa che secondo me nessun altro può capire. Nemmeno
i ragazzi stessi, per quanto possano essergli legati.
Ognuno di questi ci lascia un qualcosa di diverso, che diventa parte del
nostro cuore
E anche grazie a lui che ho imparato la bellezza di aiutare i più piccoli,
soprattutto quelli in difficoltà, a coltivare le loro passioni: forse senza
aver incrociato la strada di Igor adesso non sarei nemmeno educatore.
Ho imparato la bellezza di prendere per mano i ragazzi e le ragazze nel
momento del bisogno, a consolarli quando sono tristi. Ad abbracciarli e a
dirgli “ti voglio bene” senza troppi peli sulla lingua. Igor me lo diceva
sempre.
A piangere, quando ce n’è bisogno: lui non si vergognava di piangere..

Pensando a lui lo ammetto sono triste. Ma sono anche felice per aver regalato
qualche giorno di allegria e di spensieratezza, alla sua breve vita.

Arrivederci Igor. Il tuo vero sogno, inizia adesso
Ti voglio bene