Vita al femminile: tra realtà e luoghi comuni Vita al Femminile: tra realtà e luoghi comuni

Articolo comparso sul mensile “l’Angolo” – luglio agosto – 2006 

Donne: sembra proprio che abbiano conquistato tutto o almeno tanto da non poter rivendicare più nulla o addirittura tanto da poter pensare di “tornare indietro”. Ormai fanno tutti i lavori possibili, la legislazione in vigore è una delle più garantiste in caso di maternità e se divorziano gli ex mariti devono pagare gli alimenti…. Il passo successivo di questo ragionamento è che tutto questo ha portato all’aumento dei divorzi e delle separazioni, a un tasso di natalità tra i più bassi al mondo, ad una confusione nella testa delle nuove generazioni, allevate da madri frettolose e da padri frustrati dalla mancanza di un ruolo chiaro…e così via.

Ma perchè non funziona questo ragionamento?

Per capirlo basta leggere i giornali. Repubblica dello scorso 1 dicembre scrive: “Donne, o i figli o il lavoro: così si discriminano le madri”. L’articolo riprende i dati Istat secondo cui una donna su cinque lascia il lavoro dopo la nascita dei figli. Questa conseguenza non è spesso il risultato di una libera scelta perché nel 23% dei casi non viene rinnovato il contratto nel frattempo scaduto e nel 7% la donna viene proprio licenziata.

Le altre tengono duro con molta fatica e con poche soddisfazioni: il 21,8% delle madri che riprende il medesimo lavoro dopo la gravidanza dichiara delle variazioni che in generale costituiscono un peggioramento (minori responsabilità, mansioni meno interessanti, diminuzione delle opportunità di carriera, minore partecipazione a corsi di formazione).

Inoltre ancora non possono contare su un numero sufficiente di asili, scuole e servizi di vario tipo. A tal proposito ricordiamo che la Commissione europea definisce la conciliazione tra vita professionale e vita familiare come “l’introduzione di sistemi che prendono in considerazione le esigenze della famiglia, di congedi parentali, di soluzioni per la cura dei bambini e degli anziani, e lo sviluppo di un contesto e di un’organizzazione tali da agevolare la conciliazione delle responsabilità lavorative e di quelle familiari per le donne e (anche) gli uomini”.

L’Unione Europea ritiene che la risposta alle sfide poste in termini di occupazione femminile, ma anche maschile, sia “basata proprio sulle politiche di riconciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare nella sua accezione più ampia: servizi di custodia dei bambini e di assistenza alle altre persone a carico, congedi parentali, possibilità di effettuare orari di lavoro più flessibili, job-sharing, part-time per entrambi uomini e donne, servendo sia gli interessi dei datori di lavoro che dei lavoratori. Ovviamente a ciò si deve aggiungere una divisione equa delle responsabilità domestiche e familiari tra uomini e donne.”

Inutile ricordare che nel nostro Paese il lavoro casalingo non è ancora diviso in modo equilibrato tra uomini e donne.

Il lavoro è sempre più un aspetto fondamentale dell’identità femminile, ma lo sta diventando al prezzo di un forte sovraccarico di lavoro familiare e sempre più il lavoro sembra una corsa ad ostacoli.

Nonostante infatti l’occupazione femminile negli ultimi 10 anni sia cresciuta più di quella maschile, le donne continuano a essere fortemente svantaggiate rispetto ai colleghi uomini: sono meno occupate degli uomini, guadagnano di meno, entrano più tardi nel mondo del lavoro e sono più precarie. Nei ruoli di responsabilità poi, le donne sono veramente poche.

Eccoci allora al Corriere del 30 ottobre 2005: nelle società italiane quotate in borsa, le donne sono solo il 2,6% dei consiglieri di amministrazione e di queste più dell’8% sono espressione della famiglia proprietaria dell’azienda. E se non hanno in mano il potere economico, le donne non hanno in mano nemmeno quello politico: l’Italia è al 72esimo posto nella classifica mondiale della presenza femminile nelle istituzioni. Perfino nel volontariato c’è qualche cosa che non funziona: a livello di base le donne sono più della metà, ma nei ruoli di responsabilità la loro presenza si va rarefacendo.

Se tutto questo è vero, allora c’è ancora molto da fare.

Affinché il lavoro professionale diventi un’opportunità per tutti, le soluzioni vanno cercate su diversi piani: quello del riequilibrio del carico familiare all’interno della coppia (livello privato), quello dell’incontro tra esigenze dell’impresa ed esigenze dei lavoratori (livello aziendale), quello del sostegno finanziario e della diffusione e qualificazione dei servizi pubblici (livello pubblico).

In questa direzione, nel marzo 2002 il Consiglio Europeo di Barcellona ha fissato gli obiettivi per l’offerta di servizi di custodia per i bambini: entro il 2010 gli Stati Membri dovranno offrire tali servizi per almeno il 33% dei bambini al di sotto dei 3 anni e per il 90% dei bambini tra i 3 anni e l’età di ingresso nella scuola dell’obbligo.

Si dovrebbe evitare, infine, che le politiche di conciliazione siano indirizzate esclusivamente alle donne per essere invece rivolte anche agli uomini. Dovremmo operare maggiormente anche sul cambiamento culturale per raggiungere una condivisione equa di responsabilità in termini di lavoro e vita familiare tra donne e uomini. Perché conciliare significa trovare un equilibrio tra diversi ambiti, di vita e di lavoro, pubblici e privati, e pertanto è un problema che riguarda, a ben guardare, sia le donne che gli uomini.

In questo modo ci auguriamo che i valori della femminilità siano messi al servizio della società tutta. Insomma la propensione a prendersi cura degli altri, a cooperare più che a dare ordini, ad ascoltare il cuore oltre che il cervello possono diventare elementi di ricchezza per tutta la società, che avrebbe molto, molto da guadagnare.

Rossella Pimpinella