Mancoop a SS. Cosma, un modello di rinascita industriale che viene dal basso

20140118_090010“Mancoop: resistere, resistere, resistere, siempre”: la scritta riportata su un murales all’ingresso cattura la mia attenzione, mentre mi accingo a parcheggiare. Ho appuntamento con Pasquale Olivella, Presidente della Mancoop, cooperativa sorta dalle ceneri della ex Manuli (poi Evotape) e costituita dai suoi dipendenti.

Il gentile addetto all’ingresso mi offre un caffè e sorseggiando mi guardo in giro: diversi operai indaffarati entrano ed escono dalla struttura principale. Dopo dieci minuti vengo accolto con un sorriso da Olivella, insieme all’amministratore Saltarelli. “Lo stabilimento ai tempi d’oro dava lavoro a circa 500 persone, per non parlare dell’indotto”, dice amaramente. Fondata a metà anni 30 da Dardanio Manuli, l’azienda è cresciuta di anno in anno fino a diventare leader mondiale nella produzione di nastri, grazie alla qualità della sua produzione. Poi è finita in una rete di multinazionali che nel 2010, l’ha portata a dichiarare lo stato di insolvenza. Una vicenda tristemente frequente.

“La crisi finanziaria è arrivata in un momento in cui qui producevamo a pieno ritmo, e a Novara erano addirittura in attivo”, ci tiene a sottolineare Saltarelli, mentre Olivella annuisce e prosegue:“Sono stati anni difficili. Solo la Chiesa non ci ha mai abbandonato, da Monsignor Farano fino a D’Onorio, come pure don Di Vito”.

Resto colpito dal suo sguardo: è di un uomo che ha saputo trasformare la rabbia in determinazione. “Abbiamo presidiato lo stabilimento per due anni, senza stipendio, per assicurare l’integrità dell’edificio. Dopo varie assemblee, abbiamo deciso di metterci in gioco come cooperativa. Abbiamo chiesto di fittare una parte di capannoni e macchinari, e grazie all’intercessione del Vescovo, al procuratore fallimentare e al prefetto che ha creduto nel nostro piano industriale, dal primo marzo 2013 è stata avviata l’attività. Ora siamo di nuovo in gioco, senza avere la palla al piede di grossi gruppi finanziari: imprese costituite come scatole cinesi, che nascono con il solo scopo di speculare, non di produrre”. La finanza, sempre lei: dovrebbe aiutare l’economia reale, e invece la sta pian piano distruggendo.

“Ora diamo lavoro a 50 persone, e continuano ad arrivare curricula. Per non parlare del movimento di capitali che generiamo nella zona. Lo stabilimento lo stiamo sviluppando in modo eco compatibile: nei vasti terreni annessi ed inutilizzati abbiamo messo cavalli e pecore ed installeremo pannelli fotovoltaici per la produzione di corrente elettrica. In futuro, ospiteremo fiere ed eventi e creeremo un incubatore di impresa: una novità per la provincia di Latina”. Davvero un bell’esempio di rinascita che viene dal basso, di imposizione dell’economia reale, quella che produce, su quella virtuale e speculativa. Una speranza, per i tanti operai, che sono stati fagocitati dalla crisi e che ora scoprono che possono ancora rimettersi in gioco.

 

Articolo Comparso su “l’Avvenire” il 26/01/14