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Filippo Signore su Alfonso Artone

Scauri, 26 Giugno 2009

Mi complimento con Alfonso Artone per il suo primo romanzo, che ho letto con particolare piacere, anche perchè è scritto in una prosa gradevole e coinvolgente. E non è poco alla luce dell’inflazione di scrittori e di opere non sempre obiettivamente accettabili.

Il suo libro è un giallo che reca un messaggio di alto significato morale, in quanto riguarda il rispetto della vita e di principi bioetici. Condivido pienamente la citazione  nella presentazione, a pag. 11, del pensiero di Karol Woytila, il quale afferma che la ricerca scientifica non può essere esente da imperativi morali.

Al giovane scrittore rinnovo i complimenti più sinceri e auguro successi sempre maggiori

Filippo Signore

Presidente Istituto Culture e Società

Nuova Università degli Studi del Golfo

Formia

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Plinio Perilli: Romanzare il Genoma

Romanzare il Genoma, castello d’angeli orfani di Luce,

oscuro soffitto senza stelle…

 

E anche una ricerca scientifica che degradi l’embrione a strumento di laboratorio non è degna dell’uomo. La ricerca scientifica in campo genetico va bensì incoraggiata e promossa, ma, come ogni altra attività umana, non può mai essere esente da imperativi morali; essa può del resto svilupparsi con promettenti prospettive di successo nel campo delle cellule staminali adulte.

(Karol Woytyła)

 

Nel suo vivace, serrato studio sulla Nuova Filosofia della Scienza, Hans Reichenbach – empirista logico tra maggiori e più rigorosi del Novecento – sciorina un ininterrotto attacco alla filosofia accademica e a ogni pretesa autonomia della filosofia; in nome invece di una duttile e circostanziata enunciazione del bisogno di adeguarsi via via sia ai nuovi problemi che alle rispettive soluzioni, specialmente scientifiche: «Oggi piuttosto si deve riconoscere come fondamentale nella scienza e nella epistemologia l’autonomia dei problemi. È sempre accaduto che una spregiudicata analisi di problemi, condotta da un punto di vista sia filosofico che matematico, o fisico, fornisce gli stessi risultati. I problemi rompono i rigidi schemi di ogni sistema, e impongono le loro leggi particolari, indipendenti dalle visioni tradizionali».

Priorità dunque ai signori Problemi, gli unici capaci di guidarci nella inesorabile complessità del vivere, e tanto più del viverci, del viversi e viverli in piena, contraddittoria modernità: «Per noi, invece, questa tendenza verso la specializzazione sembra annunciare un processo di riscoperta della filosofia. Il processo di differenziazione costituisce una transizione dal metodo intuitivo a quello scientifico, da una speculazione isolata, alla cooperazione scientifica. La filosofia, da assonnata visione del mondo, diventa una scienza progressiva».

Perché questo brioso e aggrovigliato romanzo di Alfonso Artone mi ha ricordato l’epistème di Reichenbach e le sue illuminate teorizzazioni di una moderna Filosofia della Natura? Perché anche il suo libro – ripetiamo, amabilissimo per respiro e verve narrativi – intriga e dipana tutto, o comunque gran parte del carico dei Problemi che l’esimia Contemporaneità c’infligge e ci assegna… Sì che davvero quella sala conferenze con cui il romanzo apre il suo terzo capitolo sembra insieme il colpo d’occhio gnostico e tecnologico sullo scenario in scala dell’intero nostro malversato pianeta… E in questa sala – quasi messa laica, assise tecnocratica in tregua, o meglio vacanza e dubbio d’etica – il dottor James Grahm, distilla, proclama la sua vigorosa arringa ai suoi colleghi scienziati, ma in fondo all’intera coscienza universale!…

Policlinico di Renge… Settore Uno… posto nei sotterranei… Dipartimento di Ricerca Biologica – responsabile Dott. James Grahm, citava l’etichetta posta sull’ampio portone vetrato che dava l’accesso proprio all’area dove la telecamera aveva inquadrato la figura sospetta. La porta era spalancata, il buio quasi completo; ma la guardia decise di non accendere la torcia, accorgendosi che da una stanza proveniva un bagliore fioco simile a quello generato da una candela, ma con un’intensità di luce decisamente più costante. Decise di avvicinarsi con cautela verso quella direzione: era lo studio del dottor Grahm. Spostò con prudenza, con la mano sinistra, la porta semi-chiusa, mentre la destra teneva saldamente impugnata la pistola appena estratta dal fodero.

Alfonso Artone è molto bravo a prendere questo grande scenario da emergenza planetaria, da teatro globale, e animarlo di personaggi precisi, di volta in volta aulici o leziosi, freddi, cinici o benefattori, loschi o antroposofici… Quando ha sistemato tutte le sue belle pedine, la partita a scacchi – il suo busillis – può iniziare, con squarci, bagliori e implicazioni di grande e immediato sapore romanzesco:

“È il tuo momento, James…” si ripeté, mentre afferrava il microfono.

«Buonasera a voi tutti, Autorità e illustri colleghi, signore e signori» esordì sorprendendo se stesso per l’inattesa compostezza della sua voce «come sapete, da circa sette anni è stata applicata efficacemente, sull’uomo, una tecnica di fecondazione che trae le sue origini negli anni Quaranta: mi riferisco alla cosiddetta fivet. Essa nacque inizialmente con l’intenzione di by-passare l’ostruzione tubarica bilaterale, ma già oggi essa viene utilizzata da svariate coppie, che sono infertili anche a causa di altri fattori.

Da sempre, del resto, il Romanzo moderno ha bisogno, guarda alla Scienza come a una sua ideale partner ispirativoemotiva… E non stiamo parlando solo del romanzo “d’anticipazione”, che scivola più o meno felicemente nella Science Fiction, ma propriamente dei grandi narratori del Novecento che, ad esempio, hanno davvero messo la Scienza e i suoi fascinosi abissi d’Inconoscibile al centro della propria investigazione. Penso a Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932), il cui protagonista, Bernard Marx, dapprima impressionato e sedotto dall’Utopia avverata, ne è infine disgustato fino alla ribellione… il nonno di Huxley, guarda caso, era un famoso biologo… ecco forse perché nella fantasia romanzesca del nipote conta molto immaginare la stabilità del sistema assicurata da un rigoroso controllo del numero e dei tipi di cittadini, tutti – si badi bene – nati in provetta… e uno snodo essenziale è l’incontro di Bernard con John, un “diverso” nato da grembo di donna…

Più di recente, l’immaginario rapito e rapinoso di queste ricerche (o manipolazioni?) genetiche, è stato spesso incarnato dalle opere di William Gibson, leader e guru indiscusso del movimento cyber-punk. Ecco un forte passaggio di Giù nel cyberspazio (Count Zero, 1986):

«Si chiese cosa stesse facendo Mitchell, cosa provasse. I laboratori della Maas North America erano scavati nel cuore di una mesa, un tavolato di roccia che si sollevava dalla superficie del deserto. Il dossier biosoft aveva mostrato a Turner la faccia della mesa, punteggiata da finestre illuminate, di sera; galleggiava sulle braccia sollevate di un mare di cactus come il castello di poppa di una nave gigantesca. Per Mitchell era stata una prigione e una fortezza, la sua casa per nove anni. Nelle sue viscere, aveva perfezionato le tecniche di ibridomazione che avevano eluso altri ricercatori per quasi un secolo. Utilizzando cellule cancerogene umane e un modello di dna-sintesi trascurato e quasi dimenticato, aveva prodotto le immortali cellule ibride che erano gli strumenti produttivi di base della nuova tecnologia, minuscole Fabbriche biochimiche che riproducevano senza fine le molecole artificiali utilizzate nei biochip. Da qualche parte, nell’arcologia della Maas, Mitchell trascorreva le sue ultime ore come loro ricercatore prodigio».

Lo scenario e gli stessi protagonisti di Artone sono ben diversi, con la sua America compita, un po’ ingessata, standardizzata elegante ma vagamente immota, asettica, arcigna e quasi anaffettiva… Ma i problemi sul tappeto sono gli stessi, e analoghi i tòpoi narrativi; è dai tempi di Jacques Monod (Premio Nobel 1965 con Jacob e Lwoff), e della sua proposta di un meccanismo, poi confermato, di regolazione genetica della sintesi proteica, che questo versante aureo e inesplorato, immateriale ma roccioso, ostico e divino, ci romanza dentro come un thrilling assoluto…

C’è forse un evento scientifico – cognitivo, gnomico! – più del Genoma, cioè della medesima mappatura dell’Uomo (Human Genome Project), che sia stato recentemente capace di rapirci, stupirci in modo così travolgente e inopinato, con un gesto e un rito intellettuale più biblico, assoluto, vorremmo dire michelangiolesco? Vera rivissuta e incarnata vòlta della Cappella Sistina, Giudizio Universale del nostro povero inconscio Immaginario…

Da quando poi nel 2001 il consorzio pubblico e la società privata Celera Genomics (coordinati dal genetista Francis Collins) hanno annunciato di aver completato la sequenza del dna umano, e pubblicato i loro risultati sulle riviste specialistiche “Nature” e “Science”, ogni fantasia o ipotesi romanzesca è saltata come un corto circuito contemporaneo in Cielo e sull’Olimpo, tra Dio e gli Dèi, la nostra Terra incarnata, radicata, sequenziata d’Uomo, e ogni sacrosanto o spiritato fulgore d’Etere, senza tempo o meglio fuori del tempo…

«L’intemporale non è occultato dal temporale» annota e catechizza Henri Michaux “più di quanto il temporale non sia occultato dall’intemporale. Tutto ciò è nelle tue mani, l’uno come l’altro».

Ecco, davvero gli embrioni riescono a essere, insieme, temporali e intemporali… Il nuovo e forse unico confine – barriera etica – tra non-vita e vita (qui non si parla più di Morte, il concetto sembra perfino superato!)… «Può essere che le verità ancora da scoprire stiano tendendo un agguato all’uomo» – ammonisce un pensatore duttile e insieme integerrimo quale George Steiner (cfr. Nel castello di Barbablu, 1971) – «che il legame tra pensiero speculativo e sopravvivenza, su cui è fondata tutta la nostra cultura, s’infranga. L’accento è posto su tutta la ‘nostra’ cultura perché, come ci ricordano gli antropologi, numerose società primitive preferiscono la stasi o una circolarità mitologica al movimento in avanti, e continuano a ruotare intorno a verità fissate da tempo immemorabile».

Ma continuiamo a seguire il gran discorso del dottor James Grahm, orgoglioso di celebrare insieme l’inarrestabile, eterno progresso della scienza – e il successo personale delle proprie annose ricerche:

La prima domanda che ci siamo posti è stata quindi la seguente: cosa accadrebbe se congelassimo gli embrioni prodotti la prima volta, per poi utilizzarli su richiesta della coppia in un secondo momento? È per questa ragione che circa due anni or sono abbiamo brevettato quella che viene definita “crio-conservazione”: si tratta di un metodo che consente appunto di conservare a basse, bassissime temperature non solo gli spermatozoi ma anche gli stessi embrioni, e che è stato da noi sperimentato in questi due anni con risultati sorprendenti.

Il problema dei problemi, naturalmente, è un altro, ed esula dal campo strettamente scientifico per debordare, frangere e infrangersi contro quello dell’Etica… Una vera e propria,segreta guerra degli embrioni – è cronaca degli ultimi anni e perfino dei nostri ultimi giorni – insidia e ha insidiato melliflui governi e cattive coscienze. Dando spazio a commenti, prese di posizione, risoluzioni legali, ripulse, manifesti, conciliaboli, encicliche, anatemi, progetti di legge, sentenze giuridiche e morali – spina nel fianco insieme di ogni governo e di ogni opposizione, di ogni privato cittadino a pubblico ministro, di Dio o degli Uomini… «I crimini dell’estrema civiltà» dice Barbey d’Aurevilly «sono certamente più atroci di quelli dell’estrema barbarie». Civili all’estremo siamo… – lo cita e commenta Ceronetti in Il silenzio del cor po.

Ma il meglio deve forse ancora venire. E Alfonso Artone, proprio col suo bel romanzo, calibrato quanto ispirato, se ne fa divulgatore e messaggero, amplificatore e notomizzatore… Magari proprio nella cruda trasfigurazione dei suoi personaggi cardine – su tutti suor Mary, travagliata d’estasi, tramatrice di dolci speranze, autofustigatasi di mera realtà: Sinceramente queste parole mi commossero e, al tempo stesso, mi sconvolsero, ponendomi un difficile dilemma morale. Io ero e sono un’ostetrica, ma sono prima d’ogni altra cosa una religiosa: queste problematiche però, erano a quell’epoca nuove e soprattutto misteriose, per cui non potevo basare le mie considerazioni se non sulla mia coscienza. Poi mi convinsi che, tutto sommato, si sarebbe trattato di una inseminazione legittima e anche moralmente corretta, quella che mi prospettava Rob in memoria di suo fratello e a favore della moglie Sheila, che poi era anche la mia amatissima cugina!

Non starò a dirvi quello che ho dovuto soffrire, nell’animo. Ma mi convinsi senza più ombra di dubbio e di riserve morali o di fede, pensando che il povero Sam aveva fatto congelare il suo seme proprio per questa dannata eventualità, come aveva già detto Rob. Si trattava quindi di una sua implicita e sacrosanta volontà testamentaria!

Ritmo e visività, taglio stesso narrativo e gioco incalzante dei problemi, dedizione psicologica e sguardo d’insieme, insomma strategia epocale, irradiano interesse e suspense, incoronando queste pagine come più che degne di una gustosa riduzione cinematografica… che tenga conto dello spessore, della disperazione mentale, intimizzata ed esplosiva, plastica quanto più introiettata, di personaggi come Grahm, lo scienziato alienato di sé, e soprattutto suor Mary, supplice ed eroina di una grande vicenda, aspra, feroce deriva d’Etica (se non proprio d’amore)…

Due personaggi davvero a tutto tondo – inopinatamente kubrickiani! – che già basterebbero a nutrire di sé un gran film squartatamente contemporaneo…

 

E la poesia? Quella resta sempre nei gesti, nei pensieri, nella scia trasparente di sogni e attese – anche, sospetti e dannazioni, espiazioni…

Espiazioni prenatali… Torna in mente Kafka, lui che in fondo è sempre stato l’embrione congelato e insieme infiammato di tutto il Novecento. Quando scrisse sul suo diario, nel Ventidue: «Esitazione prima della nascita. Se esiste la metempsicosi, io non sono ancora neanche sul gradino più basso. La mia vita è l’esitazione prima della nascita».

Ma forse la metempsicosi esiste nel romanzo, e Alfonso Artone – un po’ Bernard Marx, un po’ K. o meglio, Gregor Samsa – va romanzando finalmente per il Terzo Millennio appena fecondato l’esitazione prima della nascita, la guerra di tutti gli embrioni possibili… Quanti sono? Migliaia, certo – e non li si riesce più a contare, vere bombe atomiche mignon dentro e oltre le nostre coscienze… Sul gradino più basso, redenti e irredimibili, verso l’Altissimo…

 

Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d’arco tricordo tre saette.

E come in vetro, in ambra o in cristallo,

raggio resplende sì, che dal venire

a l’esser tutto non è intervallo,

così l’ triforme effetto del suo sire ne l’esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzïone in essordire.

 

(Paradiso, canto xxix, 22-30)

 

Come una grande, inderogabile scia di Luce e Coscienza, questi angioletti, questi Angeli di Rock Castle, perfetta fiumana dantesca che nessun poeta riesce, riusciva oggi più a cantare, sciamano, irrompono, trasmigrano, svolano dai cieli paradisiaci alle iridescenti e umbratili balze o pareti del Limbo. Rocciose si direbbe di nuvole, colore e vapore, come gli affreschi di Tiepolo o le tele grondanti pioggia e sole di Turner… Angeli irredentisti di pace, ostie stesse e particulae di vita:

«Quegli angioletti…» prese allora a dire a bassa voce la suora, rivolta forse solo ad Avril e a Kelly «…sono forse bambini mai nati, creature a cui la vita fu negata per umani o crudeli intenti. Essi hanno rappresentato per me un messaggio di Dio, volto a custodirli e amarli e a credere – attraverso di loro – nella vita e nell’amore. In questi sei anni di solitudine essi mi hanno aiutato a non smarrire la mia strada e la mia fede. E oggi che ho ritrovato te, Avril, e un po’ anche te Kelly… io so ancor più che quegli angeli esistono, che sono messaggeri di vita e hanno i tratti e il sorriso di ogni bambino… sì, ma…» proseguì poi evidentemente commossa, e mostrando di scrutare qua e là sulla cupola «…qua però ci vuole davvero una bella pittata, altroché… a cominciare proprio da quei putti, mannaggia…».

Ebbene: se le nuove direttive ecclesiastico-teologiche hanno

deciso di abolire il Limbo, finora riservato alle anime dei bambini imbattezzati, siamo certi e già accogliamo, immaginiamo il vivacissimo e prezioso romanzo di Alfonso Artone come un Limbo ideale (mentale?) in cui ospitare tutti gli embrioni brulicanti tra Caso e Necessità (direbbe Monod!), amore e non amore…

Raggiò insieme tutto…

Il Limbo – finalmente sì! – anche e soprattutto della poesia; che qui ci presta, ci dona a chiosa il sigillo dei cari, quasi per minaccia abortiti ma infine partoriti e redenti versi di Sylvia Plath, lirico grembo di donna e poesia, sempre pregno di una dolente sublimità; messaggio d’etere e cordone ombelicale di annodate, profetanti parole vitali; difficilissimo fiore, prezioso frutto, Bambino e anch’esso certo arduo, benedetto Angelo di Rock Castle:

 

Lo zoo del nuovo

 

Di cui rimugini i nomi – Bucaneve d’aprile, pipa indiana, Piccolo

 

Stelo senza rughe,

Specchio d’acqua in cui le immagini

Dovrebbero essere maestose e classiche

 

Con questo torcersi Agitato di mani, questo Oscuro soffitto senza stelle.

 

Plinio Perilli